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Corte di Cassazione la regolamentazione delle criptovalute in Italia

La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza rivoluzionaria nell’ambito della regolamentazione delle criptovalute in Italia, stabilendo che i Bitcoin non possono essere sottoposti a sequestro, nemmeno in caso di debiti fiscali. La decisione, contenuta nella sentenza n. 1569 del 20 novembre 2024, ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Firenze riguardante il sequestro di 1,88805294 Bitcoin (equivalenti a circa 120.638,20 euro) ritenuti profitto di evasione fiscale relativa al 2021.

La vicenda prende avvio da un decreto emesso il 14 giugno 2024 che convalidava il sequestro probatorio della somma in criptovaluta da parte della Procura. Il ricorrente, attraverso il proprio legale, ha contestato la decisione sollevando due questioni principali: l’errata attribuzione della natura di profitto del reato tributario ai Bitcoin sequestrati e la scarsa motivazione dell’ordinanza impugnata. Il caso ha portato all’attenzione della Corte una problematica giuridica fondamentale: è possibile equiparare i Bitcoin, un asset digitale, a una valuta legale per giustificare il sequestro probatorio per evasione fiscale?

Nella sentenza, la Cassazione dedica particolare attenzione alla definizione di criptovaluta, facendo riferimento alla direttiva UE 2018/843 (V Direttiva Antiriciclaggio) e alla normativa italiana (D.Lgs. 231/2007, integrato dal D.Lgs. 125/2019), che riconoscono le criptovalute come rappresentazioni digitali di valore prive dello status giuridico di moneta legale. Secondo la Corte, i Bitcoin non sono emessi né garantiti da una banca centrale o da un ente pubblico, non sono necessariamente legati a una valuta ufficiale e non godono delle caratteristiche economicamente stabili che definiscono una moneta tradizionale.

Nel suo approfondito esame, la Suprema Corte evidenzia una serie di criticità legate ai Bitcoin. Le criptovalute si collocano al di fuori della supervisione di autorità pubbliche o bancarie e sono prive delle garanzie tipiche delle valute aventi corso legale come l’euro. A differenza di queste ultime, che mantengono un valore nominale fisso, i Bitcoin sono soggetti a un’elevata volatilità dipendente da dinamiche di mercato imprevedibili. Inoltre, le criptovalute non soddisfano pienamente le tradizionali funzioni della moneta: non rappresentano un’unità di conto affidabile, non costituiscono una riserva di valore stabile e non hanno potere liberatorio nei pagamenti.

La decisione della Corte di Cassazione si basa su una profonda analisi della natura stessa dei Bitcoin. Tre i punti focali del ragionamento giuridico: anzitutto, viene evidenziata un’incoerenza logica nelle motivazioni del Tribunale di Firenze, che aveva autorizzato un sequestro “per equivalente” su un asset digitale che non può essere considerato moneta legale; inoltre, viene ribadita l’incapacità delle criptovalute di adempiere alle funzioni economiche tipiche delle valute ufficiali; infine, si sottolinea come la loro estrema volatilità e la mancanza di un’autorità centrale le collochino in una categoria giuridica distinta. La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso e rinviato la causa al Tribunale di Firenze per una nuova valutazione, segnando un’importante svolta nella regolamentazione delle criptovalute in Italia e sollevando interrogativi fondamentali sul loro inquadramento legale e fiscale.

La Corte, affrontando la procedura penale in materia di evasione fiscale, stabilisce un principio cardine: il sequestro probatorio deve riguardare esclusivamente l’ammontare dell’imposta evasa, espresso nella valuta ufficiale dello Stato (euro), e non può estendersi a beni di valore equivalente privi di corso legale, come i Bitcoin.

Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione supera il caso specifico, aprendo nuove prospettive interpretative che potrebbero influenzare significativamente il trattamento giuridico delle criptovalute nell’ordinamento italiano. Un primo aspetto di rilievo è la definizione giuridica delle criptovalute consolidata dalla Corte. Viene tracciata una netta distinzione rispetto alla moneta tradizionale, con il riconoscimento dei Bitcoin come asset digitali dotati di caratteristiche peculiari.

In tal modo, la Cassazione offre ai giudici e agli operatori del diritto un quadro concettuale più solido per affrontare casi e controversie. Questa qualificazione porta implicazioni concrete sul piano normativo: le criptovalute, non essendo moneta legale, saranno soggette a regole specifiche nei contesti contrattuali, commerciali e penali. Sotto il profilo processuale, la sentenza introduce un principio che potrebbe avere un impatto significativo sulla gestione di sequestri e confische.

Dichiarando illegittimo il sequestro dei Bitcoin come “equivalente” di profitti illeciti stimati in euro, la Corte pone dei limiti chiari all’autorità inquirente. Questo orientamento potrebbe rivoluzionare le strategie investigative nei procedimenti che coinvolgono criptovalute, costringendo le autorità a riconsiderare le modalità operative relative ai patrimoni digitali. Ne consegue che i provvedimenti ablatori sui wallet di criptovalute richiederanno maggiore accuratezza e giustificazioni più puntuali, in linea con la natura specifica di questi strumenti. Sul piano pratico, ciò porterà probabilmente a un approccio più prudente e ragionato da parte delle procure.

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